In questo articolo “PD-L1 genetic overexpression and pharmacological restoration in hematopoietic stem and progenitor cells cure autoimmune diabetes” pubblicato sulla nota rivista Science Translational Medicine (In press, August 2017), Ben Nasr Moufida et al. hanno scoperto un evidente difetto nel livello di espressione della molecola PD-L1 nelle HSPCs (hematopoietic stem and progenitor cells) in topi NOD e in individui con T1D.
Gli autori hanno dimostrato come trattando il difetto di PD-L1, geneticamente o mediante farmaci, vi e’ una regressione del T1D negli animali.
Questa nuova terapia potrebbe rappresentare una potenziale cura per il T1D nell’uomo. LO STUDIO Fino ad oggi gli studi clinici eseguiti per cercare di curare il diabete di tipo 1 (T1D) non hanno ottenuto i risultati sperati, soprattutto per la mancanza di una terapia mirata.
Recentemente e’ stato evidenziato come il trapianto di HSPCs possa offrire una speranza come cura per il T1D. Nel nostro studio abbiamo evidenziato come nel profilo trascrittomico delle HSPCs di topi NOD, il modello murino utilizzato per lo studio del T1D, ci fosse un difetto nella molecola PDL1.
Trattando questo difetto geneticamente o mediante farmaci, in modo da portare ad un recupero della funzionalita’ di PD-L1 nelle HSPCs dell’animale, abbiamo ottenuto in vitro un’inibizione della risposta autoimmune e in vivo una regressione del T1D in topi NOD iperglicemici.
Abbiamo trovato questo difetto di espressione di PD-L1 anche nelle HSPCs di pazienti con T1D e anche in questo caso mediante una terapia farmacologica in vitro abbiamo confermato un’inibizione della risposta autoimmune.
Questo nostro studio apre quindi nuovi scenari per la cura del T1D fornendo un target specifico su cui basare una possibile terapia. “
Il Prof. Paolo Fiorina e la Dott.ssa Francesca D”Addio ci parlano della nuova malattia la HyperTh17,scoperta tramite i loro studi e la pubblicazione del nuovo progetto P2X7R and Tcells Fate.
L’HyperTh17, è una malattia che induce alla condizione di fragilità del sistema immunitario in soggetti portatori di una mutazione del recettore purinergico 7.
La scoperta è stata pubblicata sul Journal of Clinical Investigation ed è il frutto della collaborazione con il Boston Children’s Hospital e la Harvard Medical School.
I ricercatori hanno dimostrato per la prima volta il ruolo di questo recettore nel controllo dei linfociti T durante l’attivazione del sistema immunitario in condizioni di normalità, scoprendo come la sua mutazione, che interessa circa il 2% della popolazione, si associa ad una alterazione della sua funzione che conduce ad una malattia immunologica vera e propria finora sconosciuta.
La mutazione del recettore P2X7R blocca il processo che regola la risposta immunitaria dell’organismo agli agenti esterni, determina lo sviluppo di linfociti T dannosi portando ad uno stato di fragilità del sistema immunitario che può avere conseguenze importanti soprattutto per pazienti già a rischio come i trapiantati, nei quali può condurre a rigetto d’organo, o con malattie a patogenesi immunologica, come in diabete.
La mutazione di P2X7R era stata descritta ma il suo ruolo non era mai stato chiarito finora.
Come affermato dal Prof. Paolo Fiorina “Questa mutazione è presente nel 2% della popolazione generale e comprenderne l’importanza dal punto di vista clinico, assume una rilevanza per la nostra salute importantissima” afferma il Professor Paolo Fiorina, Professore Associato di Endocrinologia all’Università Statale di Milano e Direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi “Abbiamo scoperto che i soggetti portatori della mutazione di P2X7R sono predisposti a sviluppare un’alterata risposta immunitaria grazie alla possibilità che abbiamo avuto di analizzare una coorte internazionale che comprende più di 600 pazienti trapiantati di cuore arruolati tra gli Stati Uniti e l’Italia”.
Analizzando in vitro le caratteristiche immunologiche dei linfociti T dei pazienti portatori della mutazione, i ricercatori hanno verificato una variazione della risposta immune verso lo sviluppo di linfociti T dannosi che nei pazienti trapiantati si associa all’insorgenza di numerosi eventi immunologici come rigetto acuto e cronico che a lungo termine portano alla perdita dell’organo trapiantato.
La Dott.ssa Francesca D”Addio asserisce che comprendere il malfunzionamento del recettore P2X7R mutato ci ha consentito di identificare un gruppo di individui che potrebbe essere colpito dalla HyperTh17 syndrome”, afferma la Dottoressa D’Addio, ricercatrice al Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco” dell’Università Statale di Milano e al Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università di Milano.
Sarà necessario effettuare ulteriori studi per determinare la rilevanza della mutazione del recettore P2X7 nei soggetti diabetici e non trapiantati per capire l’associazione con lo sviluppo di eventi immunologici.
“Questo è un altro successo del Centro di Ricerca Pediatrica-Romeo ed Enrica Invernizzi che si aggiunge a quelli già recentemente presentati” commenta il Professor Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del Centro. “Questo Centro nato da così poco ma che sta facendo così tanto in termini di ricerca deve diventare un punto di riferimento per la ricerca scientifica in Italia, un polo all’avanguardia anche per la scoperta e la diagnosi di nuove malattie”. continua il Professor Gian Vincenzo Zuccotti. “Senza la collaborazione tra l’Università di Milano e i Dipartimenti Clinici del Polo Ospedaliero Luigi Sacco questo sarebbe stato difficile, impossibile senza il sostegno fondamentale della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi che ha permesso la costruzione di questo Centro e che ci motiva ogni giorno a lavorare per fare di più in questo campo”.
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IL PRESENTE ARTICOLO E’ REALIZZATO E DI PROPRIETA’ DELLA REDAZIONE EDITORIALE DIINSALUTENEWS.IT· 3 FEBBRAIO 2022
Un importante studio internazionale del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università Statale di Milano e dell’Ospedale Sacco di Milano in collaborazione con la Harvard Medical School identifica un meccanismo determinante nella perdita di beta cellule in corso di diabete. La scoperta apre la via a una opzione terapeutica di grande rilevanza clinica. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications
Milano, 3 febbraio 2022 – Una ricerca sviluppata dai ricercatori del Centro di Ricerca Clinica Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università Statale di Milano in collaborazione con altri centri tra cui l’Università di Pisa e la Harvard Medical School di Boston, con la prof.ssa Francesca D’Addio come primo autore, ha identificato un meccanismo determinante nella perdita di beta cellule in corso di diabete, scoprendo come disattivarlo farmacologicamente. I risultati del lavoro sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionaleNature Communications, una delle più prestigiose in ambito di medicina sperimentale con applicazione clinica.
Gli scienziati hanno individuato quale fattore determinante per la morte delle cellule pancreatiche il malfunzionamento della interazione tra due recettori – asse IGFBP3 e TMEM219 – scoprendo che il blocco farmacologico dell’asse è in grado di proteggere le beta cellule pancreatiche dalla morte cellulare e di prevenire l’insorgenza di diabete in modelli murini.
Questo risultato è stato confermato dall’inibizione genetica selettiva di TMEM219 sulle beta cellule pancreatiche in vivo, che consente di preservare e proteggere la massa beta cellulare in corso di diabete. IGFBP3 si comporta quindi come una “betatossina” la cui produzione aumenta nella malattia diabetica ed è responsabile in parte della perdita di cellule beta insulino-secernenti.
“Il nuovo asse che abbiamo individuato è in grado di controllare il destino delle cellule beta pancreatiche e modulare la loro sopravvivenza – afferma il prof. Paolo Fiorina, Professore Ordinario di Endocrinologia e Direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi – Lo studio mostra come questo meccanismo attivato a livello del pancreas endocrino sia in grado di controllarne la funzione, soprattutto per quanto riguarda le cellule producenti insulina”.
“La presenza di un aumento di IGFBP3 in circolo in pazienti affetti da malattia diabetica suggerisce che questo fattore possa funzionare come una tossina per la cellula beta pancreatica in corso di diabete, che interagendo con il recettore espresso sulla superficie delle beta cellule TMEM219 ne determina la morte. Il malfunzionamento del segnale IGFBP3/TMEM219 porta quindi alla perdita di cellule beta che producono insulina e contribuisce quindi al danno beta cellulare che si sviluppa in corso di diabete. Infatti, l’inibizione genetica e farmacologica dell’asse in questione è in grado di preservare la massa beta cellulare, di prevenire l’apoptosi della beta cellula e l’insorgenza della malattia in vivo in modelli murini per lo studio della malattia diabetica. La possibilità di ristabilire il controllo dell’omeostasi beta cellulare e prevenire la perdita di beta cellule è di straordinaria importanza per i pazienti affetti da diabete, soprattutto coloro che soffrono di diabete di tipo 1 in cui la distruzione è massiva e rapida e costringe alla necessità di terapia con insulina” continua il prof. Fiorina.
“Il blocco del danno indotto dall’attivazione dell’asse IGFBP3/TMEM219 rappresenta un’opzione terapeutica di grande rilevanza clinica nel mondo diabetologico e che ha le sue basi nello sviluppo farmacologico di composti volti ad inibire l’azione tossica di IGFBP3 sulla massa beta cellulare” aggiunge la prof.ssa D’Addio, ricercatrice al Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco”.
Commentando l’importanza dello studio, il prof. Emilio Clementi direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco”, a cui afferiscono gli autori aggiunge che “questo lavoro conferma l’interesse strategico nel campo delle malattie metaboliche del nostro Dipartimento e la capacità dei nostri ricercatori di lavorare sempre più con la prospettiva di una ricerca traslazionale”.
“Questo è un altro successo del Centro di Ricerca Pediatrica-Romeo ed Enrica Invernizzi che si aggiunge a quelli già recentemente presentati – commenta il prof. Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del Centro – Questo Centro sta dimostrando in questi cinque anni tanto in termini di ricerca da poter diventare un punto di riferimento per la ricerca scientifica in Italia, un polo all’avanguardia per la cura del diabete di tipo 1”.
“Senza la collaborazione tra l’Università di Milano e i Dipartimenti Clinici del Polo Ospedaliero Luigi Sacco questo sarebbe stato difficile, impossibile senza il sostegno fondamentale della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi che continua a sostenerci per fare sempre di più in questo campo”, continua il prof. Zuccotti.
Il prof. Paolo Fiorina conclude ringraziando la Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi per aver reso possibile la ricerca e per il continuo e straordinario supporto.